Arrosticini e Rugby: Il Terzo Tempo Perfetto

 

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Ci sono serate che nascono per caso e diventano leggenda. E poi ci sono quelle organizzate con cura, pensate per lasciare il segno.

Ė ottobre, e alla sera l’aria comincia a farsi quasi pungente, ma nulla ci ferma. È la serata ideale per una grigliata post-allenamento, e grazie a Carlo, il nostro atleta di Pescara, si trasforma in qualcosa di più di una semplice cena: un viaggio autentico nei sapori dell'Abruzzo.

1850 arrosticini e una missione: sfamare la squadra

Non si è trattato di una grigliata qualsiasi. Carlo, con la precisione e l'attenzione degne di un vero rugbista, ha orchestrato l'intera operazione con metodo chirurgico. Ha fatto arrivare direttamente da Pescara ben 1850 arrosticini, insieme alle griglie dedicate, quelle lunghe e strette, perfette per la cottura lenta e uniforme degli spiedini.

Durante l'allenamento, la scena era già epica: Cristian, uno degli accompagnatori, aveva già avviato il fuoco per le braci. Le scintille si alzavano nel buio della sera, un richiamo ancestrale, quasi un faro per i ragazzi in campo. E al fischio finale, la trasformazione era completa: quattro batterie di griglie accese, la brace che scoppiettava e una pila di arrosticini pronti per essere divorati. Il profumo della carne invadeva l'aria, una attrazione irresistibile persino per chi non aveva ancora finito la doccia.

Gli arrosticini sono un cibo semplice, nato per chi lavora nei campi o in montagna, ma con il tempo hanno conquistato anche il rugby. Facili da mangiare con le mani, veloci da cuocere e perfetti per una serata in compagnia. Ma chi conosce gli arrosticini sa che la cottura è un'arte. Non basta buttarli sulla griglia e aspettare. Bisogna girarli con il giusto tempismo, lasciare che il grasso coli e che la carne si caramellizzi senza bruciarsi. Carlo, con la sicurezza di chi è cresciuto a pane e arrosticini, ha guidato l'intero processo come un vero capitano.

Non toccare quelli, devono ancora fare crosta.

Birra a chi finisce di girare questo giro!

Sei pronto a scommettere quanti riesci a mangiarne?

Attorno alla brace, il clima era quello di una mischia ben organizzata. Ognuno aveva un compito: tagliare il pane, alimentare il fuoco, girare gli spiedini, distribuire il pane unto d'olio, riempire i bicchieri di birra e, ovviamente, mangiare. Poi, come sempre accade in queste notti, i racconti hanno iniziato a scorrere spontanei, sospinti dal calore delle braci e della compagnia. Le storie di giocate epiche, gli scontri con gli avversari, le mete segnate o solo sognate: tutto si mescolava in un rito quasi atavico, un passaggio di testimone tra generazioni di rugbisti.

Nel rugby la competizione non finisce mai, neanche a tavola. Tra una battuta e l'altra, qualcuno ha iniziato a contare gli arrosticini mangiati, trasformando la cena in una sfida di resistenza. C'è chi si è fermato a 20, chi ha superato quota 40 e chi ha tentato l'impresa eroica di raggiungere il mitico centello. Ma i veri campioni della serata non sono stati solo gli atleti: Carlo e gli addetti alle griglie hanno lasciato tutti senza parole. Mentre noi lottavamo per finire il piatto, loro continuavano a girare arrosticini e dispensare consigli, quasi senza perdere il ritmo.

Questa non è stata solo una cena. È stato un momento di squadra, un modo per rafforzare i legami. A questo Terzo Tempo mancano gli avversari, è vero, ma ci sono l'amicizia, la condivisione, il piacere di stare insieme dopo la fatica. E gli arrosticini sono stati il simbolo perfetto di questa unione: semplici ma irresistibili, proprio come il rugby.

Quando le ultime braci si sono spente e i piatti si sono svuotati, una cosa era chiara: questa grigliata non sarà un episodio isolato. Grazie a Carlo, abbiamo scoperto che non c'è allenamento troppo duro che una montagna di arrosticini e qualche birra non possa rendere memorabile. La prossima volta? Forse serviranno 2000 arrosticini. O forse semplicemente una nuova sfida: chi batterà il record della serata?

Ad un certo punto della notte, lascio i ragazzi a divertirsi e continuare la serata. Salgo in macchina, abbasso il finestrino per far entrare l'aria fresca della sera. I pensieri corrono, i ricordi affiorano. Mi rivedo ragazzino, con una palla ovale tra le mani, correre spensierato su un campo illuminato solo dai fari. Le prime mete, le prime sconfitte, le ginocchia sbucciate, la maglia sporca di fango e sudore.

Forse è per questo che il rugby è più di uno sport, perché ogni tanto, in notti come questa, ci riporta a casa.

 

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